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CENNI STORICI

Salire a Roccacinquemiglia è un viaggio unico, attraverso una molteplicità di stratificazioni intessute di vicende di guerra e di sangue: le sole cui le destinava l’alta quota e la natura impervia, nonché la posizione di frontiera in un punto strategico. Semidistrutta nella seconda guerra mondiale e progressivamente abbandonata a vantaggio di soluzioni abitative più razionalmente ubicate e più adatte at nuovi stili di vita.

Quanto resta delle fortificazioni sannite, alla sommità della "selva del monaco", ne testimoniano la frequentazione umana sin da epoca antichissima, mentre resti di mura poligone hanno lasciato ipotizzare lo svilupparsi di una agglomerato italico intorno al V-IV secolo a.C.

L'origine della sua maggiore vitalità va riportata, però, al X secolo, quando la piccola cella o minuscolo convento per due o tre monaci, che era stata annessa dai Benedettini di San Vincenzo al Volturno alla chiesa di Santa Maria di Quinquemilla sulla riva sinistra del Sangro, crebbe e si emancipò dalla dipendenza dei Volturnensi. L'obiettivo della penetrazione benedettina in un territorio vessato da secoli di guerre e carestie era quello di "far habitare, laborare e colere terram". E' la ragione prima della nascita di Roccacinquemiglia intorno ad un casale di pertinenza del monastero ma più a monte rispetto ad esso, in un luogo dove i coloni potevano insediarsi stabilmente, difendersi naturalmente, e produrre per sé stessi e per i padroni col vantaggio, peraltro, di una rete di percorsi che ai tracciati tratturali e fluviali aggiungeva le potenzialità economiche e commerciali dell’antica Via Numicia ( la strada consolare romana che serviva ad unire la valle del Sangro alla conca Peligna). II suo progressivo sviluppo, però, sollecito i desideri dei signorotti insediati nella zona che tentarono prepotentemente di impadronirsene, finché riuscirono a sostituire al primitivo governo monastico il loro avido dominio, quando verso la fine del XIV secolo  chiesa e cenobio cedettero definitivamente. Da allora nel possesso di Roccacinquemiglia, che nel frattempo aveva guadagnato una sua autonomia di comune, si avvicendarono diversi feudatari fino all’ arrivo dei Marchesani, una delle famiglie più affermate della regione. La loro presenza per oltre tre secoli ha lasciato tracce nella toponomastica oltreché nella struttura del borgo. La porta e la via loro intitolata sono residui di un'articolazione urbana e fortemente limitata dal sito, che aveva i suoi punti di riferimento nel Palazzo e nella cinquecentesca chiesa di San Giovanni Battista: 1'una all'altro complementare se i Marchesani vi tenevano la cappella gentilizia e il diritto di sepoltura, con grande profusione di "marmi pregiati" e simboli di potere. II prestigio raggiunto e documentato anche da quando scrive il D'Achille "Due vie principali che si nominano ancora alle famiglie Marchesani e Cerelli, e una colonna in pietra con piccolo basamento e con un tondo su cui e scolpito un crocifisso, sono ricordi di feudalesimo con diritto di asilo...Due porte con saracinesche, porta Marchesani e porta Cerelli, venivano chiuse di notte e in caso di pericolo contro eventuali invasori”.

Ancor più di quella passata, la storia posteriore intrecciò i suoi maggior eventi con quelli di Castel di Sangro, al cui comune venne associata solo nel XIX secoli, fino a subire affini vicissitudini durante 1'occupazione tedesca, che specie nei mesi successivi al novembre del ‘43, per entrambi i centri si fecero sempre più opprimenti e pesanti a causa delle inquisizioni e dei rastrellamenti degli uomini. Gli abitanti di Roccacinquemiglia si rifugiarono nell'antico palazzo dei Marchesani dove probabilmente sospettati di collaborazione con gli Alleati, li raggiunse una pattuglia di tedeschi con il compito di operare una spietata decimazione. A salvarli fu il coraggio del loro parroco. Don Francesco Catania, egli infatti indossato i paramenti sacri, si presentò ai tedeschi chiedendo di essere fucilato purché venissero risparmiati i suoi fedeli. Il gesto dovette commuovere quei soldati, tanto che non misero in atto gli ordini ricevuti. L'esperienza umana convinse gli abitanti a fuggire, così il paese rimase deserto nelle mani dei tedeschi, che completato il saccheggio minarono le case per lasciare terra bruciata. Né, una volta terminate le ostilità, fu senza rischio riprendere le consuete attività nelle campagne ormai cosparse di mine. Il paese si ripopolò solamente due anni dopo, quando vennero predisposti i pericolosi sminamenti e si diede inizio ad una faticosa ricostruzione. Le radici e l'orgoglio di Roccacinquemiglia sono oggi le uniche risorse che il luogo esprime per continuare a vivere. E' la forza di tale espressione a rendere urgente il recupero e ad imporlo quale mezzo indispensabile per mascherare l'indifferenza e opporle una rinnovata coscienza del luogo e della sue potenzialità.

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